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Pianto dei bambini in asilo nido

Nell’articolo che segue, dopo aver brevemente visto cosa rappresenta il pianto per i bambini, esamineremo i diversi tipi di pianto come distinti in letteratura e le implicazioni per gli asili nido e l’agire delle educatrici.

Importanza per le educatrici della conoscenza del fenomeno pianto dei bambini al Nido

Per le educatrici di asilo nido, la conoscenza del fenomeno pianto dei bambini è d’estrema importanza. Infatti, il pianto rappresenta la prima (e per alcuni mesi la principale!) forma di comunicazione a distanza dei bambini, ed è sempre un segnale che richiede il pronto intervento delle educatrici. Il pianto e le risposte ad esso sono una particolare forma di comunicazione sviluppata dal bambino e dai suoi genitori già dalle prime settimane di vita. All’arrivo dei bambini negli asili nido, le educatrici si trovano alle prese con questo sistema di comunicazione già complesso e “ben collaudato” dai bambini.

Cosa è il pianto dei bambini?

Il pianto dei bambini è una forma di comunicazione biosociale, basata su una capacità biologica innata del bambino (piangere è una delle poche cose che il neonato sa e può fare per richiamare i genitori distanti) e sulla risposta dei genitori al pianto stesso del proprio e di altri bambini (Lester, 1984); si può inoltre osservare che gran parte delle prime interazioni tra genitori e bambini sia negoziata attorno al pianto (ibid.).

È importante notare che il pianto è un fenomeno di duplice aspetto.
Da una parte abbiamo il bambino che piange, dall’altra l’adulto che prima deve “interpretare” il segnale (ad esempio: ha fame?, sta male?), e poi, sulla base dell’interpretazione, fornire le cure appropriate.
Ancora più importante, ai fini delle interazioni tra i bambini e le educatrici, è che al momento dell’arrivo negli asili nido tale forma di comunicazione è già ben sviluppata tra ciascun bambino ed i propri genitori.

Tipi di pianto e normale sviluppo del pianto

Utilizzando l'analisi spettrografica, Wolff (Wolff, 1969) ha potuto individuare tre tipi di pianto distinti tra loro:

  • Pianto di dolore. È intenso fin dall'inizio: un grido forte e molto prolungato è seguito da un lungo silenzio (nel quale il bambino prende fiato), quindi inspirazioni brevi e affannose si alternano con singhiozzi espiratori.
  • Pianto di fame. Inizia in modo aritmico e a bassa intensità, divenendo gradualmente più intenso e più ritmico.
  • Pianto di irritazione o stizzito. Condivide la stessa sequenza temporale del pianto di fame (cioè pianto-pausa-inspirazione-pausa) ma se ne differenzia per la lunghezza delle componenti fisiche che lo caratterizzano (bassa intensità e tonalità).

Più recentemente (LaGasse, Neal, & Lester, 2005) si tende a considerare solo due tipi di pianto: il pianto di dolore ed il pianto di base. Il pianto di dolore è simile a quanto espresso da Wolff; la sua funzione biosociale è quella di essere una sorta di “sirena d’allarme” e come tale resta sostanzialmente identico dalla nascita in poi.
Il pianto di base è più propriamente “dedicato” alla comunicazione con i genitori e l’ambiente circostante. Per questo motivo varia nel tempo, assumendo forme differenti secondo l’esito relazionale voluto.

Subito dopo la nascita, e solitamente fino a circa 4-6 settimane, il pianto tende ad essere scatenato da una serie di stimoli di natura quasi esclusivamente fisiologica (ad esempio fame, dolore, freddo, interruzione del sonno) in maniera per così dire “automatica”. La sua funzione di segnale non sembra essere ancora percepita dal neonato.
Soltanto in seguito a ripetute esperienze, i neonati apprenderanno che certe azioni tendono a provocare determinate conseguenze nell’ambiente che li circonda.

All’incirca verso la sesta settimana di vita, il sistema nervoso del neonato matura al punto da permettergli un primo controllo volontario delle corde vocali. Il neonato apprende di avere tale controllo ed impara ad “usare” il pianto di base in maniera più intenzionale e non solo basata sulla risposta automatica ad uno stimolo, ad esempio per far arrivare la madre e vederla. È interessante notare che il picco di durata del pianto si ha proprio in quest’età: circa il 20% dei neonati a 4-6 settimane piange circa tre ore il giorno (Lester e LaGasse, 2008).

La crescente dipendenza da stimoli esterni piuttosto che da quelli interni fa sì che sia le condizioni scatenanti il pianto sia le condizioni in grado di inibirlo acquistino una natura sempre più psicologica. Dalla soddisfazione del bisogno da parte del genitore si passa a calmare il pianto con stimoli diversi, quali il ciuccio o simili, il contatto fisico, il cullare (Kessen e Mandler, 1961). Si passa poi gradualmente a stimoli (e risposte dei genitori) ancora più complessi.
Ad esempio, Wolff dimostra sperimentalmente come si arrivi a inibire il pianto provocato da cause fisiologiche per 25 minuti presentando al bambino uno “spettacolo interessante” o qualcosa che egli può afferrare (Wolff, 1969). Inoltre, dalla quinta-sesta settimana, lo stesso Wolff ha provato che il pianto è inibito più efficacemente da stimolazioni di natura sociale (voce o volto umani), piuttosto che da uno stimolo non sociale. Queste scoperte sono molto interessanti per i risvolti operativi delle educatrici di asilo nido.

Il pianto dei bambini in età da asilo nido (3-36 mesi)

Crescendo, i bambini iniziano ad utilizzare variazioni del pianto di base per altri motivi, oltre a quelli visti sopra. Ad esempio per paura, ansia verso uno sconosciuto, anche semplicemente per un momento con la “luna storta”.

Le ragioni per cui tali motivi scatenano il pianto sono essenzialmente due (Lester e LaGasse, 2008). Vediamole brevemente.

a) Dal punto di vista neuropsicologico, il pianto si verifica quando le strategie di gestione ad alto livello (basate sulle funzioni della corteccia cerebrale) non sono più efficaci per la regolazione del comportamento del bambino. In questo caso, strutture più primitive (basate sul sistema limbico) prendono il sopravvento. Questa regressione si può avere quando il bambino è frustrato.
Un esempio interessante per le educatrici di asilo nido, soprattutto delle sezioni lattanti e semidivezzi ma non solo, parte dal fatto che i bambini sviluppano il linguaggio recettivo ben prima del linguaggio espressivo.
In pratica questi bambini si trovano a sapere cosa vogliono dire, ma non sanno come esprimerlo.

b) Un altro tipo di regressione temporanea al pianto si può avere quando il bambino si trova a gestire conflitti interni generati dall’affrontare nuove sfide nello sviluppo o dall’apprendimento di nuove cose. Ad esempio, imparare a camminare porta a sensazioni di autonomia, ma porta anche alla paura di interrompere la relazione di attaccamento con la madre.
Anche questo caso è interessante per le implicazioni negli asilo nido.

L’arrivo dei bambini negli asili nido: prime implicazioni per le educatrici

All’arrivo negli asili nido, i bambini hanno già avuto modo di creare, da almeno tre mesi, dei propri protocolli di comunicazione con l’ambiente circostante basati sull’evoluzione del pianto di base. Dal punto di vista dei bambini. questi pianti esistono “da una vita”, sono ben consolidati e portano a risposte prevedibili e utili al soddisfacimento dei propri bisogni.
Le educatrici, naturalmente, non conoscono questi protocolli basati sul pianto di base e specifici per ogni diade bambino-proprio ambiente di cura.

Il pianto negli asili nido: le educatrici e gli altri bambini

La strategia naturale usata dagli adulti per valutare il pianto si basa contemporaneamente su (Lester e LaGasse, 2008):

  • Come essi percepiscono la situazione del bambino (stanco, ammalato, ecc.)
  • Le loro proprie risposte emotive all’ascolto del pianto stesso.

Inoltre, alcune caratteristiche dell’ascoltatore condizionano la percezione stessa del pianto.
Di particolare interesse per la realtà degli asili nido italiani sono i fattori legati all’essere o non essere già mamma, l’età in cui si hanno avuto i figli, l’avere più di un figlio, essere depresse.

Un’ulteriore caratteristica che incide sulla percezione e conseguente valutazione del pianto è data dalla personalità dell’adulto: ad esempio si hanno risposte più sensibili allo stress del bambino da parte di persone più empatiche, più nevrotiche, più estroverse o meno coscienziose.
Il pianto di un bambino produce inoltre una serie di effetti sull'educatrice che che lo ascolta, in particolare sul'attenzione e sulle funzioni esecutive - effetti che sono trattati in maniera dettagliata in una recente ricerca (maggio 2016), presentata in "Effetti del pianto al Nido sulle educatrici".

La consapevolezza di questa strategia naturale ha quindi grandi risvolti nell’operatività delle educatrici nella vita quotidiana degli asili nido.

Negli asili nido la strategia usata solitamente dai bambini verso un compagno in lacrime si differenzia secondo l’età e si basa sulla preoccupazione e l’empatia (vedi anche Empatia tra bambini al Nido – Implicazioni per l’educatrice).
Dato che i bambini non sono ancora in grado di regolare le proprie e altrui emozioni, hanno difficoltà a decifrare correttamente il pianto altrui.
Spesso si avvicinano al bambino piangente e poi “cercano aiuto” presso l’educatrice più vicina. Inoltre, si osserva anche che i bambini cercano di distrarre con atteggiamenti sociali e relazionali il bambino che piange. Ad esempio, porgendogli giocattoli, avvicinandosi e toccandolo, guardandolo (vedi anche Eckerman, Whatley e Kutz, 1975).
In altri casi, un pianto prolungato diventa una fonte di stress per altri bambini vicini, scatenando una reazione a catena. Un esempio ben conosciuto dalle educatrici è sicuramente quello del bambino che piange in fase di inserimento e la risposta corale di lattanti vicini.

Bibliografia - Pianto dei bambini in asilo nido

Eckermann, C.O., Whatley, J.L., Kutz, S.L., (1975). The Growth of  Social Play with Peers during the Second Year of Life. Developmental Psychology, 11, pp. 42-49.
Kessen W., Mandler G., (1961). Anxiety, Pain and the Inhibition of Distress. Psychological Review, 68, pp. 396-404.
Lester B.M. (1984). A biosocial model of infant crying. In: Lipsitt L and Rovee-Collier C (eds.) Advances in Infant Research, pp. 167–212. Norwood, NY: Ablex
LaGasse L.L., Neal A.R., and Lester B.M. (2005). Assessment of infant cry: Acoustic cry analysis and parental perception. Mental Retardation and Developmental Disabilities 11: 83–93.
Lester B. M., LaGasse L. L., (2008). Crying. In: Haith M.M., Benson B.J. (a cura di) Enc. of Infant and Early Childhood Development, vol.1 (Academic Press, 2008), pagg. 332-segg.
Wolff, P.H., (1969). The Natural History of Crying and Other Vocalizalions in Early Infancy.In: B.M. Foss (ed), Determinants of Infant Behaviour, London, Methuen, vol. IV.

Articoli collegati - Pianto dei bambini in asilo nido

Per una discussione aggiornata degli effetti del pianto dei bambini sulle educatrici di Nido d'infanzia, rimandiamo all'articolo "Effetti del pianto al Nido sulle educatrici".
Per una riflessione sull'empatia in asilo nido, vedi Empatia tra bambini al Nido – Implicazioni per l’educatrice.

Conclusione - Pianto dei bambini in asilo nido

In quest’articolo abbiamo proposto alcune riflessioni sul pianto dei bambini negli asili nido. Il pianto e le risposte ad esso sono una particolare forma di comunicazione biosociale sviluppata dal bambino e dai suoi genitori già dalle prime settimane di vita. All’arrivo dei bambini negli asili nido, le educatrici si trovano ad affrontare un sistema di comunicazione già complesso e “ben collaudato” dai bambini da almeno tre mesi. Inoltre, il tipo di pianto definito “di base” è modificato nel tempo da parte dei bambini, in modo da esprimere un’ampia gamma di bisogni e a richiedere tipi diversi di attenzioni. Nei bambini frequentanti gli asili nido, il pianto può derivare da frustrazione o da incapacità di gestione di alcune sfide proprie di quell’età.
Infine, abbiamo visto che le educatrici di asilo nido si troveranno a interpretare il pianto dei bambini anche sulla base del loro specifico vissuto, in particolare delle proprie risposte emotive all’ascolto del pianto stesso, e non solo basandosi su quanto osservano.


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